venerdì 7 novembre 2008

Democrazia Italiana?

Si commenta da sè.

di CURZIO MALTESE


AVEVA l'aria di una mattina tranquilla nel centro di Roma. Nulla a che
vedere con gli anni Settanta. Negozi aperti, comitive di turisti, il
mercatino di Campo dè Fiori colmo di gente. Certo, c'era la manifestazione
degli studenti a bloccare il traffico. "Ma ormai siamo abituati, va avanti
da due settimane" sospira un vigile. Alle 11 si sentono le urla, in pochi
minuti un'onda di ragazzini in fuga da Piazza Navona invade le bancarelle
di Campo dè Fiori. Sono piccoli, quattordici anni al massimo, spaventati,
paonazzi.

Davanti al Senato è partita la prima carica degli studenti di destra. Sono
arrivati con un camion carico di spranghe e bastoni, misteriosamente
ignorato dai cordoni di polizia. Si sono messi alla testa del corteo,
menando cinghiate e bastonate intorno. Circondano un ragazzino di tredici
o quattordici anni e lo riempiono di mazzate. La polizia, a due passi, non
si muove.

Sono una sessantina, hanno caschi e passamontagna, lunghi e grossi
bastoni, spesso manici di picconi, ricoperti di adesivo nero e avvolti nei
tricolori. Urlano "Duce, duce". "La scuola è bonificata". Dicono di essere
studenti del Blocco Studentesco, un piccolo movimento di destra. Hanno fra
i venti e i trent'anni, ma quello che ha l'aria di essere il capo è uno
sulla quarantina, con un berretto da baseball. Sono ben organizzati, da
gruppo paramilitare, attaccano a ondate. Un'altra carica colpisce un
gruppo di liceali del Virgilio, del liceo artistico De Chirico e
dell'università di Roma Tre. Un ragazzino di un istituto tecnico,
Alessandro, viene colpito alla testa, cade e gli tirano calci. "Basta,
basta, andiamo dalla polizia!" dicono le professoresse.

Seguo il drappello che si dirige davanti al Senato e incontra il
funzionario capo. "Non potete stare fermi mentre picchiano i miei
studenti!" protesta una signora coi capelli bianchi. Una studentessa alza
la voce: "E ditelo che li proteggete, che volete gli scontri!". Il
funzionario urla: "Impara l'educazione, bambina!". La professoressa
incalza: "Fate il vostro mestiere, fermate i violenti". Risposta del
funzionario: "Ma quelli che fanno violenza sono quelli di sinistra". C'è
un'insurrezione del drappello: "Di sinistra? Con le svastiche?". La
professoressa coi capelli bianchi esibisce un grande crocifisso che porta
al collo: "Io sono cattolica. Insegno da 32 anni e non ho mai visto
un'azione di violenza da parte dei miei studenti. C'è gente con le
spranghe che picchia ragazzi indifesi. Che c'entra se sono di destra o di
sinistra? È un reato e voi dovete intervenire".

Il funzionario nel frattempo ha adocchiato una telecamera e il taccuino:
"Io non ho mai detto: quelli sono di sinistra". Monica, studentessa di
Roma Tre: "Ma l'hanno appena sentito tutti! Chi crede d'essere,
Berlusconi?". "Lo vede come rispondono?" mi dice Laura, di Economia.
"Vogliono fare passare l'equazione studenti uguali facinorosi di
sinistra". La professoressa si chiama Rosa Raciti, insegna al liceo
artistico De Chirico, è angosciata: "Mi sento responsabile. Non volevo
venire, poi gli studenti mi hanno chiesto di accompagnarli. Massì, ho
detto scherzando, che voi non sapete nemmeno dov'è il Senato. Mi
sembravano una buona cosa, finalmente parlano di problemi seri. Molti non
erano mai stati in una manifestazione, mi sembrava un battesimo civile.
Altro che civile! Era stato un corteo allegro, pacifico, finché non sono
arrivati quelli con i caschi e i bastoni. Sotto gli occhi della polizia.
Una cosa da far vomitare. Dovete scriverlo. Anche se, dico la verità, se
non l'avessi visto, ma soltanto letto sul giornale, non ci avrei mai
creduto".

Alle undici e tre quarti partono altre urla davanti al Senato. Sta uscendo
Francesco Cossiga. "È contento, eh?" gli urla in faccia un anziano
professore. Lunedì scorso, il presidente emerito aveva dato la linea, in
un intervista al Quotidiano Nazionale: "Maroni dovrebbe fare quel che feci
io quand'ero ministro dell'Interno (...) Infiltrare il movimento con
agenti pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i
manifestanti devastino le città. Dopo di che, forti del consenso popolare,
il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto
della polizia. Le forze dell'ordine dovrebbero massacrare i manifestanti
senza pietà e mandarli tutti all'ospedale. Picchiare a sangue, tutti,
anche i docenti che li fomentano. Magari non gli anziani, ma le maestre
ragazzine sì".

È quasi mezzogiorno, una ventina di caschi neri rimane isolata dagli
altri, negli scontri. Per riunirsi ai camerati compie un'azione singolare,
esce dal lato di piazza Navona, attraversa bastoni alla mano il cordone di
polizia, indisturbato, e rientra in piazza da via Agonale. Decido di
seguirli ma vengo fermato da un poliziotto. "Lei dove va?". Realizzo di
essere sprovvisto di spranga, quindi sospetto. Mentre controlla il
tesserino da giornalista, osservo che sono appena passati in venti. La
battuta del poliziotto è memorabile: "Non li abbiamo notati".

Dal gruppo dei funzionari parte un segnale. Un poliziotto fa a un altro:
"Arrivano quei pezzi di merda di comunisti!". L'altro risponde: "Allora si
va in piazza a proteggere i nostri?". "Sì, ma non subito". Passa il vice
questore: "Poche chiacchiere, giù le visiere!". Calano le visiere e
aspettano. Cinque minuti. Cinque minuti in cui in piazza accade il
finimondo. Un gruppo di quattrocento di sinistra, misto di studenti della
Sapienza e gente dei centri sociali, irrompe in piazza Navona e si dirige
contro il manipolo di Blocco Studentesco, concentrato in fondo alla
piazza. Nel percorso prendono le sedie e i tavolini dei bar, che abbassano
le saracinesche, e li scagliano contro quelli di destra.

Soltanto a questo punto, dopo cinque minuti di botte, e cinque minuti di
scontri non sono pochi, s'affaccia la polizia. Fa cordone intorno ai
sessanta di Blocco Studentesco, respinge l'assalto degli studenti di
sinistra. Alla fine ferma una quindicina di neofascisti, che stavano
riprendendo a sprangare i ragazzi a tiro. Un gruppo di studenti s'avvicina
ai poliziotti per chiedere ragione dello strano comportamento. Hanno le
braccia alzate, non hanno né caschi né bottiglie. Il primo studente,
Stefano, uno dell'Onda di scienze politiche, viene colpito con una
manganellata alla nuca (finirà in ospedale) e la pacifica protesta si
ritrae.

A mezzogiorno e mezzo sul campo di battaglia sono rimasti due ragazzini
con la testa fra le mani, sporche di sangue, sedie sfasciate, un tavolino
zoppo e un grande Pinocchio di legno senza più una gamba, preso dalla
vetrina di un negozio di giocattoli e usato come arma. Duccio, uno
studente di Fisica che ho conosciuto all'occupazione, s'aggira teso alla
ricerca del fratello più piccolo. "Mi sa che è finita, oggi è finita. E se
non oggi, domani. Hai voglia a organizzare proteste pacifiche, a farti
venire idee, le lezioni in piazza, le fiaccolate, i sit in da figli dei
fiori. Hai voglia a rifiutare le strumentalizzazioni politiche, a voler
ragionare sulle cose concrete. Da stasera ai telegiornali si parlerà
soltanto degli incidenti, giorno dopo giorno passerà l'idea che comunque
gli studenti vogliono il casino. È il metodo Cossiga. Ci stanno fottendo".

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